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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via di Ripetta [1] (R. IV – Campo Marzio) (da piazza del Popolo a via di Monte Brianzo)

Campus Tiberinus” poi “Prata Flaminia era chiamata questa parte del Campo Marzio major, che comprendeva il rione attuale ed una zona fino a piazza Colonna (area fra via Campo Marzio, piazza San Lorenzo in Lucina, Corso e via in Lucina).

Adibito durante la Repubblica agli esercizi militari, fu poi da Cesare (100 a.Ch.-44 a.Ch.), Agrippa (63 a.Ch.-12 a.Ch.) ed Augusto (63 a.Ch.-14 d.Ch.) arricchito di importanti monumenti dei quali il più insigne fu il mausoleo di Augusto che, nel Medio Evo, dette alla zona circostante i nomi di : “l’Aosta”; “Agosta”;  “munitio  Agostae”;  “Austa”;  ecc.  e  che  secondo  Strabone  (63 a.C-20 d.C.) formava aggere [2] al fiume.

Nel III secolo, Aureliano (270-275) allargò la cerchia delle mura urbane che diventò confine del Campo Marzio, invece del fiume [3]. Nella cinta furono aperte delle posterule per il passaggio delle derrate [4] trasportate per fiume.
Le posterule, diminuite di numero dall’imperatore Onorio (395-423) per la sicurezza della città, si ridussero a cinque.

Di queste, quella di “Santa Agata” o di “S. Martino” era accanto all’attuale chiesa di San Rocco, e quella “della Pila o della Pigna”, al principio dell'odierno Lungotevere Marzio, era verso il ponte di Cavour [5].

Orti e vigne occuparono quasi esclusivamente l’attuale via di Ripetta, finché nell’anno 1518, per ordine di Leone X (Giovanni de´ Medici - 1513-1521) [6], fu cominciata la strada di Santa Maria del Popolo [7], dalla chiesa di Sant’Ivo dei Brettoni sino al Popolo, maestri di Strada: "Bartolomeo della Valle e Raimondo di Capodiferro".

Fu chiamata “via magistralis Leonina” e, nel 1551, “via nova populi”, “via populi” o “strada populi”, detta poi Ripetta per distinguere il porto (che si estendeva “dall’Archetto [8], sopra il fornaro che sta incontro a San Rocco, per sino dove stanno le barche del vino") da quello di Ripagrande.

Per le spese di costruzione della strada [9], oltre il contributo di miglioria, imposto ai frontisti, fu applicata una tassa alle meretrici.
Si racconta che la cortigiana Giulia Farnese, transitando per la via Leonina, si “contrò con una gentildonna che l’urtò un poco. All’hora la gentil donna, alterata, cominciò a dirle villania". Rispose la Giulia: "Madonna, perdonatemi, che io so bene che voi havete più ragione in questa via che non ho io".

Clemente VII (Giulio de´ Medici - 1523-1534) completò la strada e la mise a dritto filo con la Scrofa.

Il tratto da Sant’Ivo dei Brettoni a San Giacomo, era detto in origine "via nuova a Santa Maria del Popolo" e da San Giacomo al Popolo, “strada vecchia".

Sant’Ivo de’ Bretoni, nei pressi del vicolo della Campana, era stata edificata al posto di Sant’Andrea dei "Marmorariis” o de “Mortarariis[10], già in essere sotto Innocenzo IV (Sinibaldo Fieschi - 1243-1254).
Anche Sant’Ivo fu abbattuta e ricostruita con la facciata nel lato opposto di quella demolita.  La chiesa  aveva  assunto  il nome  del  santo,  quando  Callisto III  (Alonso de Borgia - 1455-1458) l’aveva data alla nazione francese della provincia di Bretagna per i pellegrini nazionali che usufruivano dell’ospizio e dell’ospedale annesso.

Via Ripetta, che si inizia da piazza del Popolo, ha ancora, nei nomi delle vie che la fiancheggiano, il ricordo dei tempi passati. I Frezza, i Soderini, i Tomacelli [11], i dell’Avvantaggio [12] ecc. ricordano le famiglie che vi ebbero le loro case.

A destra della strada, quasi di fronte a S. Giacomo, si trova il palazzo costruito dalla Camera Apostolica, detto Ferro di cavallo [13], che procurò all’architetto Camporese Di Pietro (1792-1873) la celebre sciarada di Pasquino:

 ”Di maledetta stirpe è ceppo il primo,
scorre l'Italia l'altro pel terreno
possanza ha il terzo, e pur di tema è pieno
e il quarto stassi della scala all'imo.
Se brami puoi sapere chi sia il Cotale,
gli è quei che distruggendo il suo paese
e digrassando più di un cardinale
innalza muri che durano un mese”.

Infatti  fu  subito necessario rinforzare il palazzo nei fondamenti e tutta la parte concava, dalla quale era nato il nomignolo "ferro di cavallo". Fu riparato continuamente per circa 150 anni ed è stato poi definitivamente abbattuto tutto il secondo piano lasciando solo la loggia del primo piano, nel 1938.

Dall’altra parte della strada, si trova la facciata posteriore dell'ospedale di S. Giacomo e la chiesa di Santa Maria Portae Paradisi che ha sul portale una Madonna col Bambino di Andrea Sansovino (1467-1529).
La Chiesa, riedificata nel XVII secolo (costruita nel 1523) [14], ebbe forse il nome di paradiso dai “parádeisos”, cioè dai giardini che circondavano in origine il Mausoleo di Augusto e nei quali il popolo poteva intrattenersi e passeggiare [15].
Si chiamò anche "in Augusta" per una chiesa di Santa Maria o Santa Marina in Augusta, che vi sorgeva fin dal XIII secolo, e che, in una Bolla di Giovanni IX del 2 agosto 1236, è detta "non longe a monte qui Augustus dicitur.
Fu riedificata nel 1338 dal cardinale Pietro Colonna (1260-1326), insieme all’altra di San Giacomo in Augusta o S. Iacobus de Langusta che stava dalla parte di Ripetta. (La chiesa di San Giacomo odierna sta sull’area di una precedente cappella di San Giacomo, situata sul Corso).

Altre chiese, nelle vicinanze dell’Augusteo erano: S. Giorgio in Augusta, ancora esistente nel XVI secolo; Sant’Angelo de Augusta [15b], nominata in una bolla di papa S. Agato (535-6); Santa Martina in Monte Augusto nominata in una bolla di Gregorio IX (1227-41); San Martino de Posterula distrutta nel secolo XV; S. Biagio de Penna o de Pinea [15c] già ricordata nel X secolo, e San Tommaso de Vineis[15d]. o vinearum, per i vigneti che si stendevano fra il Mausoleo e la porta Flaminia; chiesa che risulta già abbandonata nel XIV secolo.

Il “tumulus Caesarum” come fu pure chiamato dagli antichi, fu costruito da Ottaviano Augusto "sibi suisque[16]. Ed ebbe un’area vasta giacché solo il tumulo [17] misurava oltre 89 metri di diametro, circondato da boschetti e giardini [18]. Rivestito alla base di marmo bianco, era ricoperto da alberi e sormontato dalla statua colossale dell’imperatore.

Nel mausoleo fu sepolto [19] per primo Marcello [20], nipote e genero di Augusto (42-23 a.C.) cui seguirono gli altri membri della famiglia, escluse per volere dell’imperatore le due Giulie, figlia e nipote, e la ripudiata consorte Scribonia.

Nel 14 d.C., in occasione delle esequie di  Augusto, morto a Nola a 77 anni, fu tenuto un duplice elogio funebre,  pronunciato il primo dentro  il tempio di Cesare nel Foro, e il secondo sui Rostri. Il cadavere dell’imperatore  "su gli omeri dei senatori fu portato nel Campo Marzio, e quivi arso" [20bis].  "I principali dell'ordine equestre, discinti scalzi, raccolsero le ceneri e le composero nel Mausoleo, che nel suo sesto consolato egli aveva eretto tra Via Flaminia e il Tevere, aprendo al pubblico il parco e il passaggio che intorno aveva fatto" (Svetonio Gaio Tranquillo (70-126).

Ad eccezione di Caligola (37-41) e Nerone (54-68), ultimo della famiglia, tutti i membri  di  essa  furono sepolti  nel  Mausoleo [21].  Riaperto  nel  98  per  Nerva (96-98), ultima sepoltavi fu Giulia Domna, moglie di Settimio Severo (193-211) che dicevasi affine alla famiglia Giulia. Unica che vi fu inumata, senza la cremazione: Poppea, la seconda moglie di Nerone  da lui uccisa (65) con un calcio (Tacito XVI, 6).

Nel lato rivolto a sud, era l’ingresso al Mausoleo, ornato da tavole di bronzo dov’era riprodotto il testamento di Augusto [22], che ci è noto per quella copia delle "Res gestae trovata nella cella del tempio di “Roma e Augusto” in Ancyra (Ankara).

Ai lati dell’ingresso erano i due obelischi, uno oggi a Santa Maria Maggiore per ordine di Sisto V, nel 1587, e l’altro al Quirinale nel 1793 a cura di Pio VI.

Le ricerche di antichità attorno al Mausoleo cominciarono nel 1519.
È del luglio di quell’anno la relazione dell’oratore veneto "Sono molti anni che il sepolcro di Augusto Cesare, posto tra il Teatro e la via Flaminia, si rovinò siccome tutto il resto de le venerande antiquitate, per l'avaritia e dappocagine del nostro secolo... Solo en la terra se ha trovati li fondamenti et appresso un obelisco grandissimo cascato già in terra. Erano do (due) forse: se cercheranno dall'altra parte troveranno, se per lo passato non sia stato o rotto o levato. Questo è alquanto brusato (bruciato) per una calcara che gli era altre fiate appresso. Raphaello d'Urbino, pittore et architetto gentile di ingegnio, si ha offerto portarlo sopra la piazza di S. Pietro per ducati 90 milia; non so quello che seguirà".

Uno dei pezzi dell’altro obelisco fu rinvenuto alla fine del 1781; gli altri due nel 1786.

Narra una leggenda che "l'imperatore Ottaviano Augusto avesse fatto trasportare un corbello di terra da ogni provincia dell'impero, e che l’avesse riversata là, per poter riposare nella terra di tutto il mondo che aveva dominato".

Più che dai Goti di Alarico, nel 410, il Mausoleo fu devastato principalmente, oltre che dal tempo, dai marmorari o calcarari [23].

Quando i Colonna, nel XII secolo, trasformarono l’Augusteo in fortezza, la statua dell’imperatore più non esisteva, perché già stata fusa per battere moneta.
L’“Agosta”, così era chiamato il fortilizio, fu centro delle sanguinose lotte che si combatterono tra il Papato e l’Impero, finché Gregorio IX (Ugolino dei Conti di Segni - 1227-1241) riuscì ad impadronirsene e devastarlo [24] nel 1241. Restò così un rudere in mezzo agli orti [25].

Nel 1354, dopo essere stato esposto per tre giorni impiccato per i piedi, a San Marcello,  il cadavere  di Cola di Rienzo (1313-1354) fu, dagli ebrei, trascinato qui e, dopo averlo bruciato, ne sparsero al vento le ceneri, per cui "non ne rimase cica”.

Il posto, nel 1488, era affidato dalla Camera Apostolica ad Aurelio e Giovanni-Battista de Spiritibus che, per il censo annuo di un Fiorino, ebbero l’area "inculta et putredine replena" per impiantarvi un orto.

Verso il 1550, il Mausoleo passò ai Soderini [26], il ramo romano dei quali sarà iscritto da Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758) nel patriziato romano nel 1746 e insignito del titolo di conte con baldacchino (giurisdizione feudale: titolo attribuito ai nobili godenti di un feudo, con giurisdizione effettiva) [27].

I Soderini trasformarono la rotonda in un giardino pensile, che restò tale anche quando passò ai Fioravanti e poi al portoghese marchese Corea.

Affittato ad uno spagnolo, Bernardo Matas, costui pensò di organizzare "nel grande  giardino  della  sua  locanda,  che  una  volta  formava  il  Mausoleo  di Augusto, la giostra della bufala" e vi costruì così un anfiteatro in legno, facendovi poi giostrare degli spagnoli fatti venire appositamente.
Giostre, fuochi d’artificio (i fochetti al Corea [28]) ecc. si susseguirono finché nel 1780 il marchese Vivaldi Armentieri trasformò l’anfiteatro in muratura.
Ancora giostre di tori e bufale, spettacoli equestri, feste notturne, rappresentazioni di burattini, finché Pio VIII (Francesco Saverio Castiglioni - 1829-1830), per dispetto del popolo, proibì definitivamente, nel 1829, gli spettacoli.

Nel 1840 fu poi usato solo per spettacoli equestri, ma, dopo breve tempo, chiuso, e usato come studio di artisti. Vi ebbero stanza: lo scultore Enrico Chiaradia (1851-1901) [29] ed, alla sua morte, Emilio Gallori (1846-1924) che vi modellarono la statua di Vittorio Emanuele II che sta a Piazza Venezia.

Nel 1907, restaurato dal Comune, [30] accolse concerti dell’Accademia di Santa Cecilia, finché l’isolamento del Mausoleo, con la creazione della piazza di Augusto Imperatore, ha fatto emigrare, nel 1935, i musicofili e poi gli abitanti di via Sodalino, via Colonnette, via Otto Cantoni e via degli Schiavoni.

Fu appunto vendendo una vigna degli Schiavoni "in loco qui dicitur Austa" che sotto Adriano VI (Adriaan Florenszoon Boeyens - 1522-1523) si cominciò a fabbricare abitazioni in questa zona.

Schiavoni [31] furono detti comprensivamente Dalmati e Illirici, che, sfuggiti ai turchi al principio del XV secolo, si erano rifugiati qui in Roma, stabilendosi in Borgo.
Non essendoci però la possibilità di costruirvi un ospizio, Niccolò V (Tommaso Parentucelli - 1447-1455), con una Bolla del 21 aprile 1453, dette loro "in ecclesia diruta et discoperta Sancte Marinae de Campo Marzio” con la possibilità di ricostruire la chiesa e un ospizio sotto l’invocazione di San Girolamo.[32]
Culto che sul posto era già stato esercitato nella chiesa diruta, da un eremita di origine dalmata.

Fu nel 1473 che, per un lascito avuto, l’ospizio e la chiesa si ingrandirono e più tardi all’ospizio degli uomini si aggiunse una casa d’asilo per le donne povere schiavone che finirono per dover emigrare quando, nel 1566, Pio V (Antonio Michele Ghislieri - 1566-1572) stabilì sul confine della proprietà schiavona "l’ortaccio" [33].

La chiesa attuale di S. Girolamo degli Schiavoni fu riedificata nel 1588 da Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590), con l’opera di Martino Longhi (1534-1591).

La chiesa che segue è quella di San Rocco, la cui origine è questa:
"Da Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) fu fondata l'arciconfraternita di S. Rocco (Bolla 1° giugno 1499 “cogitantes humanae conditionis”) e, fabbricata da fondamenta la sua chiesa [34], ad istanza di più devote persone, cioè parte di essa sopra una rata d’un pezzo di terra del Monte Augusto detto il Mausoleo, acquistato dalli figli ed heredi del signor Giovanni Battista Gallimberti cittadino romano, con peso di 200 ducati l'anno di imposta. L'altra parte di detta chiesa che è tribuna, fu fabbricata sopra un sito di canne 21 di terreno acquistato dall'ospedale di S. Girolamo degli Illirici".

La confraternita, che era composta di osti e barcaroli del vicino porto di Ripetta, vi ebbe il suo ospedale, cui si aggiunse più tardi, dal cardinale Giovanni Salviati, un altro ospedale per le partorienti povere [35].
La chiesa, quasi riedificata nel 1657, ebbe la facciata odierna nel 1834 dall’architetto Giuseppe Valadier (1762-1839), perdendo così definitivamente le caratteristiche cinquecentesche e la meridiana, che in alto, sulla facciata, era sovrastata dal campanile.

Oltrepassato S. Girolamo [36], si trova il cembalo Borghese [36a], che fino alla morte di Paolo IV (Gian Pietro Carafa - 1555-1559), ospitò l’Inquisizione [37]. "Palatium positum in regione Campimartis ex opposito Ripettae sancti Rocchi”.

Vi si trovavano rinchiusi quelli che non avevano ascoltato il monito di Pasquino:

"Figli, meno giudizio
e più Fede comanda il Sant’Uffizio.
E ragionate poco,
ché contro la ragione esiste il foco.
E la lingua a suo posto,
che a Paolo quarto piace assai l’arrosto". 

“Ma gli ebrei, alli XI agosto (1559) havendo inteso la gravità del male di Sua Santità” prima ruppero la prigione di Corte Savella, poi quella di Tor di Nona e nel pomeriggio, senza aspettare la morte del Papa, “andarono, armata mano, li caporioni con molto strepito a Ripetta e non solo liberarono i prigionieri, ma ruborno e saccheggiorno la casa"[38].

Altri eretici furono da essi liberati alla Minerva e finirono poi in Campidoglio per buttare a terra una statua del Papa "che non ne lasciarono pezzo sano e trascinarono la testa con triregno per tutta Roma". ("Un ebreo poté osare di imporvi prima il suo berretto giallo”).

I resti del fabbricato furono acquistati per 12.000 scudi da Giovanni Galante che lo rivendé a Francesco Cenci, che vi abitò fino al settembre del 1593, come egli stesso dichiarò, mentre si trovava detenuto in Campidoglio, al magistrato inquirente (9 marzo 1594): “Venni ad abitare la mia casa alla Duana (Sant'Eustachio) nel mese di settembre prossimo passato, e prima questa estate habitavo Ripetta in casa di Giovanni Paolo Galante, dove era l'Inquisizione al tempo di Paolo IV".

Quasi di faccia a S. Girolamo stava il porto di Ripetta, che fu detta “Ripetta vecchia” quando funzionò il nuovo porto. Prima dei lavori fattivi da Clemente XI (Giovanni Francesco Albani - 1700-1721), vi potevano approdare solo le "chiode" (zattere) che, appena scaricate, dovevano attaccarsi alla Penna [39].

Nel piccolo vecchio porto, solevano "quivi adunarsi in numero maggiore che non era la capacità di sì ristretto ed angusto seno, onde impicciandosi tra loro, si venivano spesso ad urtare insieme e rendeva il luogo ingombro alle operazioni quotidiane manuali".

Clemente XI (1700-1721) con disegni di Alessandro Specchi (1666-1729) e Carlo Fontana (1634-1714) e servendosi di un arco del Colosseo, abbattuto dal terremoto nel 1703, costruì il nuovo porto con due maestose rampe che da una terrazza belvedere digradavano sulla banchina del fiume. Nel centro della terrazza, la fontana lanterna ch’è adesso a sinistra del ponte Cavour.

Nel XVI secolo il Presidente ed il Tribunale delle Ripe risiedevano in uno stabile fra le vie (S. Girolamo) degli Schiavoni (ora accorciata) e via Tomacelli, ma Clemente XI costruì loro un palazzo apposito, dove prese alloggio anche l’appaltata Dogana, nel posto ch’è di fronte a S. Rocco, circa il bussolotto che protegge “l’Ara Pacis Augustae”.

L’edificio ricostruito ai primi del XX secolo ad uso di abitazione fu definitivamente demolito, per far posto al bussolotto suddetto, nel 1939.

Nel porto erano sbarcati vino, legumi, grano, frutta e olio, provenienti per lo più dalla Sabina, e ancora carbone e legna per la quale Paolo V (Camillo Borghese - 1605-1621) provvide ad ingrandire la “Legnara che stava "vicino alla strada dell’Avvantaggio” per "ridurre il commercio di Ripetta in luogo più largo et capace, e per altre cose che vengono".
Ma la “Legnara” fu distrutta, insieme a una sessantina di case, da un incendio che danneggiò pure “il delizioso giardino e casino dell'Eccellentissima  Casa Borghese, restato ancora danneggiato il palazzo del signor Marchese Capponi, foriere maggiore, e cameriere segreto di Nostro Signore, ascendendo il danno a centinaia di migliaia di scudi".
Fu un incendio laborioso, giacché, avendo il vento furioso fatto dilagare le fiamme "fu necessario trasportarvi da Castel Sant'Angelo alcuni pezzi di cannone di diverso calibro per atterrare le predette e le contigue case, acciò il fuoco non si dilatasse maggiormente.....".

Una nuova legnara fu allora costituita "fuori porta del Popolo, attaccata alle mura della città", come scritto nell’epigrafe ancora in loco.

Lo scarico del carbone era invece regolato a parte, giacché, per lo più, veniva trasportato per terra. Quello che giungeva per via fluviale era calmierato dal presidente delle Ripe, che ne limitava anche la distribuzione per impedire accaparramenti.
Così ordinava "che per i carboni che si scaricano a Ripetta non si pretenda più di 30 baiocchi il sacco”. "Che più di 30 sacchi di carbone non devansi vendere a qualsivoglia persona, anche privilegiata, eccetto però il Sacro Palazzo Apostolico” e che, “espressamente, niun mercante o rivenditore di carbone possa fare alcuna società o contratto di partecipazione con i facchini di Ripetta sopra il carbone che si vende a sacchi e che si conduce a Roma”.

Nel 1600 la piazza di Ripetta cominciava dalla chiesa di S. Rocco e si estendeva fino alle stalle dei Borghese.
Era di "sito molto grande, ma divenuta non seconda ad alcun altro luogo di Roma; bagnata dalla parte d'oriente dal fiume, e dall'altra parte tutta scoperta, apriva l'adito alla vista d’ampio tratto di paese, che in delitiose e variate prospettive mirabilmente alletta” (Paolo Romano - 1939).

Dal porto sottostante, nel 1855, partiva un servizio passeggeri e merci, per Napoli, così programmato:
"Partenze periodiche per Napoli dei vapori Tevere e Sebeto per la via di Anzio in 18 h, tempo permettendo". "Da Napoli e da Roma e Anzio hanno luogo ogni lunedì, mercoledì e venerdì. Tariffe-scudi 10 la prima classe, con libbre 80 di effetti; scudi 7 per la seconda con libbre 60 di effetti; scudi 4 e baiocchi 50 per la terza, con libbre 30, in coperta per i soli operai, escludendosi le eccedenze di effetti da uno a 50 libbre, baiocchi 50, e considerandosi i ragazzi, sotto 10 anni, per mezzi posti con mezzi prezzi".

Fino al 1878, per passare il fiume v'era il traghetto. Un barcone a fondo piatto che aveva a prua una corda annodata alla barca, corda che all’altro capo scorreva con una puleggia, lungo un grosso canapo teso fra le due rive. Il barcarolo, secondo il pelo dell’acqua, a stuzza [40] o scalando si faceva trascinare dalla corrente .

Al porto di Ripetta, una tavola di legno sulla quale era scritto "qui si passa la barchetta" indicava ai romani il punto d’imbarco per l’altra sponda, che non offriva altro che qualche osteria campestre. Il servizio di traghetto era dato in appalto e il viaggio costava un baiocco.
Il privilegio di tale servizio era stato riconosciuto dalla Camera Apostolica, che con severi editti proibiva ai non  autorizzati di far passare il Tevere, “anche gratuitamente, chicchessia, sulle barche, pena un'ammenda di 500 scudi e tre tratti di corda”.

In Prati, dove pascolavano allora pecore e capre, i romani si recavano d'estate a consumare merende campestri, quando non preferivano salire sui barconi attaccati al porto, per mangiare cocomeri e pesce fritto.

Con l’indennizzo del Comune al titolare del servizio, cessò il traghetto quando, avvenuto il collaudo del ponte di ferro [41], varato in una sola volta, il 14 marzo del 1879 [42], fu aperto il transito sul ponte di Ripetta.
Con la costruzione del ponte Cavour (inaugurato il 26 maggio 1901), fu completato anche l’abbattimento del porto di Ripetta, che aveva lasciato il posto al lungotevere e ai muraglioni.[43]

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[1]            Una volta “via del Porto di Ripetta”.

[2] )            Terrapieno sovrastante il fiume, favorevole alla difesa.

[3] )            Prima di Aureliano, nessuna parte delle mura seguiva la riva del Tevere.

[4] )            Il dazio che vi si pagava si diceva "posteraticum” e i suoi proventi erano appaltati annualmente dalla Camera Capitolina.

[5] )            Altre due a Tordinona “Dimizia” ; una presso S. Biagio della Pagnotta “de Episcopo”; una pure nel Rione Ponte “Regio Posterula”. Quella “Domitia” era in direzione della “statio marmorum” sul “visus Domitii” che dalla via Recta (Coronari) giungeva al bordo del fiume. La posterula fu anche chiamata "Arco di Maurizio”.

[6] )            Nel  giorno  del natale  di  Roma del 1521, nell’inaugurare  in Campidoglio la statua di Leone X, Blosio Palladio (Bisegio Pallai), riferendosi ai nuovi quartieri che il Pontefice aveva fatto sorgere su entrambe le rive del Tevere e specialmente nel nucleo urbano che si veniva formando sui due lati della nuova strada, "via magistralis Leonina", così disse: "Augetur Urbs vestra in dies aedificiis, et ad Tyberim novae regiones extenduntur, qua ab Ianiculo, qua contra Ianiculum, qua ad Flaminiam”.

[7] )            Strade Romane – Le vie Scrofa e Ripetta devono essere considerate antichissime, anzi contemporanee alla fondazione della città.

[8] )            Archi e portici erano la caratteristica della Roma medievale. Questi archi spesso si congiungevano "formando passaggi coperti che si chiamavano archi bassi, tanto che in molti luoghi non passavano carri".

[9] )            La via Ripetta, prima del 1500, non era che una piccola via verso “Ponte".

[10] )           La sua più antica memoria è una Bolla di Innocenzo II (Papareschi - 1130-1143) che ne sancisce la cessione al monastero di S. Maria in Campo Marzio.

[11] )           Vedi le via rispettive (Campo Marzio).

[12] )           I primi Avvantaggio furono due “Abbreviatori pontifici” (Gli abbreviatori erano un corpo di scrittori della cancelleria pontificia, il cui incarico era di abbozzare e preparare in forma compiuta le bolle papali, le note pontificie e i decreti concistoriali, prima che questi venissero scritti "in extenso" dagli "scriptores". Gli Avvantaggio (per via del Vantaggio) erano anche addetti alla spedizione delle costituzioni apostoliche).

[13] )           Vedi ”Via del Fiume” (Campo Marzio).

[14] )           Esiste ancora una lapide commemorativa di questo evento.

[15] )           Dice Strabone che dietro al Mausoleo era "un gran bosco contenente viali ammirabili" e si estendeva tra la Flaminia e il Tevere, dalla parte settentrionale. E Svetonio " Id opus inter Flaminiam Viam, ripamque Tiberis, sexto suo consulatu (28 B.C.) exstruxerat circumiectasque silvas et ambulationes in usum Populi, tunc iam publicarat”.

[15b]            Questa chiesa era forse in cima o all’interno del Mausoleo di Augusto.

[15c]            Da localizzarsi nei pressi di Piazza Nicosia.

[15d]            Nei pressi del Mausoleo di Augusto

[16] )           Era forse nel « Campus extremus » del Campo Marzio. Fu iniziato l’anno stesso in cui ricevette il titolo di Ottaviano Augusto (27 a.C.)

[17] )           Forma antichissima etrusca, fu scelta da Augusto a dimostrazione del suo rispetto per le tradizioni avite.

[18] )           Oggi Piazza Augusto Imperatore.

[19] )           La cella sepolcrale era costituita da una stanza circolare interrotta nel mezzo da un massiccio pilastro cilindrico, per cui si presentava piuttosto come un corridoio ad anello, abbastanza largo, con tre nicchie in croce per contenere le urne dei principali personaggi.

[20] )           « Heu  miserande puer, si qua fata aspera rumpas tu Marcellus eris...” Sulla pietra tombale i nomi di Marcello e di sua madre Ottavia che fin da viva si preparò il posto vicino a lui. (Eneide VI, S. 882).

[20bis]         l’Utrinum stava dietro San Carlo al Corso, dove, nel 1777, facendosi le fondamenta di una casa, posta al cantone, a sinistra della chiesa, furono trovati grossi pezzi di travertino, che formavano un pavimento. Su questi erano incisi diversi nomi dei figli di Germanico ed altri della famiglia imperiale con l’epigrafe: "hic crematus est” altri con la formula: "hic situs est" (Museo Chiaromonti)].

[21] )           Il cippo  sepolcrale  di  Agrippina  è  in  Campidoglio.  (Morte di Agrippina – Tacito XIV,8). L’unico monumento che si conservi a Roma è una rozza scultura (XIII sec.) posta sul cippo sepolcrale di Agrippina. Rappresenta un "pavesato" ed una "balestra" con in mezzo lo stemma di Roma e, sotto le figure, sono collocati tre stemmi familiari e due bandiere con l’immagine di un "pavesato" e di una "balestra". Sulla scultura è scritto: "Rugitella de grano” che significa una misura di grano (Rubbiatella pari a  300 libbre).

[22] )           « Index rerum a se gestarum ».

[23] )           Si chiamavano così: Galgarari, i calcari e galgare, le fornaci e ancora  "scalpellatori e spaccatori di vasi, nei quali si pestan diverse materie che nel nostro volgare son detti mortai e che lavoravano quinvi da presso nelle botteghe". Il materiale di decorazione lo ricavavano dai monumenti dagli edifici romani, ma molta parte di esso finiva nelle “calcare” o fornaci per ottenere la calce. Concessioni di impianto di fornaci "pro calcina" erano fatte dalla R. Camera Apostolica che ne incassava l’affitto a  proprio profitto o al vantaggio di istituti religiosi od opere di beneficenza.

[24] )           Era già stato  devastato nel 1167 dal popolo romano in seguito alla sconfitta subita dai Tuscolani.

[25] )           Le torri che vi erano state piantate sopra furono demolite e l’interno rimase nudo e pieno d’erba e di sterpi.

[26] )           La strada propinqua si chiamò via Soderini.

[27] )           Porzia Soderini, monaca di Tor dei Specchi, lasciò poi il titolo al fratello uterino Roberti, che col riconoscimento di Pio VII (Breve del 17 settembre 1819), continuò la famiglia Soderini.

[28] )           I Fochetti, dopo il 20 settembre 1870, furono rinnovati nello Sferisterio Barberini. Alle giostre prendevano parte grossi cani di gran prezzo sui quali, oltre che sui giostratori, si puntavano le scommesse.

[29] )           Bisogna dire che la statua di Vittorio Emanuele II, a Piazza Venezia, di Enrico Chiaradia (1851-1901), rimasta per lunghi anni alla Corea (il mausoleo di Augusto), prima di passare alla trasteverina fonderia Bastianelli, per essere colata in bronzo, non aveva incontrato l'approvazione di Giuseppe  Sacconi (1854-1905), che avrebbe voluto fosse stata modellata dal conterraneo Nicola Cantalamessa (1831-1910). Un’epigrafe diceva: "Il Re a cavallo era in gran soggetto: - ma il capo d'opra fu aspettato invano; - nacque solo un cavallo da carretto - per il gran monumento sacconiano".  Il vincitore Chiaradia, in un banchetto d’onore offertogli, levatosi per ringraziare disse: "che non comprendeva tante feste, perché un asino aveva fatto un cavallo".

[30] )           Nel 1907, il conte di San Martino, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia ed assessore della Pubblica Istruzione al Comune, propose allo Stato, che ne era proprietario, la permuta del Corea con un edificio che doveva servire a questi per una caserma. Sotto il profilo di un prezioso ausilio dello Stato alla città di Roma, per una sua così nobile iniziativa qual era quella di costituire nel Corea dei concerti sinfonici che avrebbero giovato "alla vita musicale non soltanto romana, ma italiana", la permuta fu effettuata ed il 16 febbraio 1900, il maestro Giuseppe Martucci poteva salire sul podio del comunale anfiteatro Corea e dare inizio al concerto inaugurale. Il programma di quel primo concerto fu: Rossini: Ouverture dell’assedio di Corinto; Beethoven: l’Eroica; Mozart: andante e minuetto; Wagner: Siegfried -la vita della foresta ed il Tannahaüser - Ouverture. Poi l’Augusteo (Corea) s’avviò a diventare uno dei maggiori templi dell’arte sinfonica mondiale e nel 1933, vi erano già state eseguite 1415 composizioni orchestrali; 245 corali; 112 miste di coro e orchestra. Si erano avvicendati 145 direttori di orchestra, dei quali 61 italiani e 84 stranieri e 228 solisti italiani e 158 stranieri. Ma per mettere a nudo l’archeologico anello della sepoltura di Augusto (sibi suisque), il 13 maggio del 1936 vi fu dato l’ultimo concerto che in seguito furono dati all'Argentina nella stagione invernale e anche per quella estiva. Con più successo, le audizioni si dettero e si danno alla basilica di Massenzio. Sempre in attesa di quell’auditorium che dovrebbe essere al Flaminio e chissà se sarà attuato per questo secolo. Roma aeterna!

[31] )           "Schiavonia", che ha oggi un significato geografico più corrispondente, non era prima un territorio ben definito. Designava quello popolato da Slavi immigrati, in contrapposto a quello dei Dalmati latini, che chiamavano Schiavoni i Croati marittimi. Appellativo adottato dai Veneziani per tutte le popolazioni Slave costiere.

[32] )           È noto che la lingua primitiva della Chiesa a Roma fu il greco. Quando l’elemento latino diventò preponderante, vi furono infinite traduzioni e, nel 380, papa S. Damaso incaricò San Gerolamo del lavoro di revisione del nuovo testamento. Nel 383, San Girolamo pubblicava il suo vangelo che è tuttora in uso.

[33] )           Vedi "Piazza di Monte d'Oro" – Campo Marzio.

[34] )           S. Rocco - Narra la tradizione che sul muro attiguo al suo letto di morte un Angelo scrisse: "Ad Rochi patrocinium confugentes, contagionem atrocissimam evasuros significo”.
A Venezia, dove è conservato il corpo del Santo, fiorì la famosa "scuola di San Rocco" adorna di bellissime tele del Tintoretto (Robusti Jacopo - 1518-1594).  A Roma, per la festa del Santo, il 16 agosto, avevano luogo divertimenti popolari che furono sospesi da Innocenzo XI nel 1681 e definitivamente soppressi nel 1691 da Innocenzo XII che proibì: “il far correre e far più correre nel giorno della festa di San Rocco palij per il fiume Tevere con barche e barchette, et ancora il fare o il far fare in esso fiume giochi con anatre, papari o altra cosa". Anche questa festa risultò essere la trasformazione di quella del Dio Portunio, che dai pagani era celebrata il 17. Tanto che i divertimenti di S. Rocco venivano iniziati alle 24 del 16.  Portumnalia il 17; festa di Portuno “Deus portuum portarumque praeses” e dice Festo (II sec. d.Ch.) “Portum frequenter maiores pro domo posuerunt”. Il sacrificio di  rito  aveva  luogo  nel  tempio (Il tempio fu trasformato nella chiesa di S. Maria egiziaca)  presso  il  ponte  Emiliano  (ponte rotto).  “Vinalia rustica”,  dice Varrone (116-27 a.Ch.), “si dà il nome di Vinali rustiche al 19 agosto, perché in quel giorno si dedicò un tempio a Venere ed a questa dea sono sacri gli ortolani”.

[35])            L'ospedale era di 50 letti e alla fine del 600 fu destinato a ricoverare le partorienti che vi erano mantenute fino a otto giorni dopo il parto. Non erano tenute a declinare nome e condizione, e potevano anche coprirsi il volto per non essere vedute. Non vi entrava giurisdizione criminale o ecclesiastica, solo il personale d’assistenza vi aveva accesso.

[36] )           Fu da qui, che, nella notte del 14 giugno 1497, i1 barcarolo vide gettare nel Tevere il cadavere del duca di Candia, Juan, figlio di Alessandro VI.

[36a]            Dov’è adesso la facoltà di Scienze Economiche e Commerciali e dove i Borghese avevano stabilito le loro stalle

[37] )           Le carceri del Sant’Uffizio, erano prima presso il vecchio porto di Ripetta (attuale Università per la facoltà di Scienze Economiche Commerciali) e poi presso la chiesa della Minerva.

[38] )           Liberati furono 42 detenuti, ed al loro posto, dopo una solenne bastonatura, fu messo il giudice Giambattista Cirone e feriti a morte il commissario del Sante Uffizio e il suo segretario Tommaso Scato. Ai frati della Minerva se non volevano esser "bruggiati di dentro, saccheggiati e tagliati a pezzi",  fu  imposto  di  partire;  ma  per  l’intromissione  di  Giovanni  Battista  Salviati, Ferdinando Torres, Giovanni Bernardo e Giulio Cesarini si concesse di restare purché “guardassero di non se intrigare mai più nel Uffizio della Inquisizione".

[39] )           Forse per lo scarico, che vi si faceva delle penne che si raccoglievano dai diversi pollaioli. Vedi “Via della Penna” (Campo Marzio).

[40] )           Asta, palo lungo per spingere la barca. (per i “Traghetti sul Tevere vedi via della Barchetta - Regola)

[41] )           Costruito da una Società Belga ed acquistato nel 1883 dal Comune per 150.000 lire.

[42] )           Demolito nel 1901.

[43] )           Con la febbre edilizia del 1895 fu portato a buon punto il quartiere Prati ed, interrottane poi la fabbricazione nella crisi edilizia del 1939, riprese gli anni successivi.

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- Via di Ripetta
- Piazza del Porto di Ripetta
- Piazza Augusto Imperatore
- Largo San Rocco
- Chiesa di Santa Maria Portae Paradisi

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